mercoledì 27 ottobre 2010

IL CAMPO ELETTRICO: IL TEOREMA DI GAUSS

Andiamo ad analizzare un importante teorema inerente l'elettromagnetismo, che rappresenta la prima delle 4 equazioni di Maxwell: il Teorema di Gauss.
Prima di far ciò dobbiamo introdurre il concetto di campo elettrico.

IL CAMPO ELETTRICO

La forza elettrica che si genera tra 2 cariche elettriche, che possono essere, per quanto riguarda il segno, concordi (ossia tutte e 2 positive o negative) o discordi (una negativa e una positiva), ci è data dalla nota Legge di Coulomb, che prende la sua denominazione dallo scienziato francese Charles Augustine de Coulomb:



dove:

- F = forza elettrica;
- q1q2 = prodotto delle cariche;
- d2 = distanza tra le cariche al quadrato;
- k = costante che vale 8,99 x 109 N · m2/C2.

Bisogna tuttavia dire che generalmente la costante k viene espressa in maniera più rigorosa mediante il rapporto 1/4πε0, dove ε0 (costante dielettrica nel vuoto) = 8,854 · 10-¹² C²/N · m².
Ora dobbiamo affermare che tale forza è una cosiddetta forza a distanza, nel senso che le 2 cariche risentono della forza attrattiva o repulsiva, anche se si trovano in 2 punti distanti, che possono essere separati da spazio vuoto di materia.
Riscontriamo dunque delle analogie tra la forza elettrica e quella gravitazionale: entrambe dipendono da leggi che presentano il prodotto di 2 grandezze (masse e cariche elettriche) divise per il quadrato della distanza tra i 2 corpi considerati, ed entrambe sono forze a distanza.
Compiamo un brevissimo excursus sulla gravità: essa rappresenta, seguendo la Relatività Generale di Einstein, la curvatura dello spazio-tempo determinata da un corpo, poniamo il Sole, che, proprio tramite tale deformazione del tessuto spazio-temporale, mette in moto i pianeti intorno ad esso, anche se molto distanti.
Si va quindi ad introdurre il concetto di campo.
In questo specifico frangente, tratteremo con particolare attenzione il campo elettrico.
Il concetto di campo elettrico viene introdotto partendo da alcune idee fondamentali:
  • quando è presenta una carica elettrica Q1, essa modifica lo spazio che la circonda. Più precisamente, va a cambiare le proprietà in un punto B, in cui è situata una seconda carica, che chiamiamo Q0;
  • questa seconda carica Q0 avverte una forza elettrica, che è dovuta proprio alle nuove proprietà dello spazio in cui essa si trova.
Pertanto, la carica Q1 è quella che genera un campo elettrico, mentre la zona dello spazio in cui si risentono gli effetti delle forze elettriche è detta sede del campo elettrico.
La seconda carica Q0 è solamente un escamotage che ci permette di constatare che nel punto B esiste un campo elettrico, ma esso esisterebbe comunque, anche se non ci fosse tale carica a rilevarlo.
La seconda carica Q0, generalmente, viene denominata carica di prova, proprio perché ci consente di studiare agevolmente il concetto di campo elettrico.
Questa carica di prova è scelta convenzionalmente abbastanza piccola, in modo da non andare a modificare in maniera rilevante, a causa delle forze da essa generate, il sistema fisico che si sta considerando.
A questo punto giungiamo ad introdurre quella grandezza che descrive la forza elettrica in ogni punto dello spazio: il vettore campo elettrico: E = F/Qo dove:

- E = vettore campo elettrico;
- F = forza di Coulomb;
- Q0 = carica di prova.

Specifichiamo che il vettore campo elettrico si misura in newton/coulomb (N/C).
Da tale relazione possiamo ricavare, attraverso semplicissimi passaggi, un'ulteriore equazione importante: F = E · Q, la quale ci permette di calcolare il valore della forza F che agisce su qualsiasi carica Q.
Partendo adesso dalla legge di Coulomb e dalla definizione di vettore campo elettrico, si può giungere a una formulazione più rigorosa del campo elettrico generato da una singola carica puntiforme.
Se andiamo a sostituire alla F della relazione E = F/Q0, la forza di Coulomb, mediante opportune semplificazioni otteniamo che il campo elettrico E di una carica puntiforme è uguale a:

E = kQ/d².

Se, invece, il campo elettrico è generato da più cariche puntiformi, andiamo ad utilizzare il principio di sovrapposizione, ossia giungiamo ad addizionare gli effetti delle varie cariche con la famosa regola del parallelogramma o col metodo punto-coda inerenti i vettori.
Detto ciò, cerchiamo di rispondere a una domanda: come si rappresenta il campo elettrico?
Compiamo un piccolo esperimento: immergiamo in un contenitore colmo d'olio una sferetta elettrizzata; cospargendo successivamente la superficie dell'olio con minuscoli frammenti di materiale dielettrico (isolante), si può osservare che questi ultimi si dispongono a raggiera intorno alla sfera.
I frammenti, sotto l'azione della forza elettrica, si polarizzano e si orientano, in ogni punto, parallelamente al campo.
Dunque si vanno a definire le linee del campo elettrico o linee di forza (introdotte dal fisico Michael Faraday, più noto per la scoperta dell'induzione elettromagnetica): linee orientate la cui tangente, in ogni punto, è diretta come il vettore campo elettrico in ciascun punto.
L'insieme delle linee ci dà un'idea generale dell'andamento del campo stesso.
Ora andiamo al nocciolo della questione: il Teorema di Gauss.
Prima di descrivere tale teorema, è necessario introdurre un importante concetto riguardante il campo elettrico, ossia il flusso del campo elettrico.
Esso è definito, nel caso in cui la superficie e il campo elettrico siano considerati uniformi, come:

Φ = E · n · S (= E · S cosα, in quanto prodotto scalare), dove:

- Φ = flusso del campo elettrico;
- E = vettore campo elettrico;
- n = versore (adimensionale) perpendicolare alla superficie considerata;
- S = area delle superficie dove si riscontra un flusso del campo elettrico.

L'unità di misura del flusso del campo elettrico è N · m²/C.
Se, al contrario, la superficie attraverso cui calcolare il flusso, risultasse non uniforme, curva, è necessario suddividere tale superficie in tanti elementi di area ΔS, sufficientemente piccola, in modo che tutti possono essere ritenuti piani e sui punti di ciascuno di essi il campo si possa ritenere approssimatamente uniforme.
Considerando la sommatoria di tutti i flussi parziali si arriva alla formula:

Φ = ∫E · n dS: la sommatoria tende all'integrale di superficie del vettore campo elettrico.
In particolare, dS indica l'area infinitesima degli elementi che idealmente compongono la superficie.
A questo punto si può definire il Teorema di Gauss (prende il nome dal celebre matematico Karl Friedrich Gauss, l'unico, insieme ad Eulero, ad essere stato definito "princeps mathematicorum"), che altro non è che un'altra maniera di esprimere il flusso del campo elettrico; in primo luogo forniamo una definizione più semplicistica: il flusso Φ del campo elettrico E attraverso una superficie chiusa è uguale alla somma algebrica delle cariche contenute all'interno della superficie, diviso la costante elettrica del mezzo in cui si trovano le cariche.
Nel caso specifico in cui le cariche sono situate nel vuoto si ha:

Φ = ∑Qi/ε0

Specifichiamo che questo teorema è valido quasi ovunque.
Tuttavia, la formula data andrebbe espressa in maniera più rigorosa, mediante un più elevato formalismo matematico, come poi la troviamo nel sistema di 4 equazioni differenziali alle derivate parziali di Maxwell.
Quindi, tale formula, in termini differenziali, diventa:

∇ · E = ρ0

Il simbolo ∇ (nabla), chiamato anche del, una delta rovesciata, rappresenta un'antica arpa assira di forma triangolare.
Il nome "nabla" fu coniato da William Hamilton nel 1837; Maxwell avrebbe preferito dare a questo operatore differenziale il nome di "pendenza".
Considerando uno spazio tridimensionale, il ∇ riunisce le pendenze (le derivate parziali) nelle varie direzioni.
Precisamente, applicandolo a una funzione f(x,y,z), si ottiene un campo vettoriale g(x,y,z) con componenti:

- g1 = ∂F/∂x;
- g2 = ∂F/∂y;
- g3 = ∂F/∂z.

Ritornando al teorema di Gauss, il simbolo ρ indica la densità di carica volumetrica, mentre la notazione ∇ · E rappresenta un prodotto scalare, o ancor più precisamente, la divergenza (div E) del campo elettrico.
La divergenza è un operatore che misura la tendenza di un campo vettoriale a divergere o convergere verso un punto del campo stesso.
Se, per esempio, immaginiamo un campo vettoriale bidimensionale che rappresenta la velocità dell'acqua, contenuta in una vasca da bagno che si sta svuotando, la divergenza avrebbe:

- valore negativo: nelle vicinanze dello scarico, visto che in quel punto l'acqua sparisce, se ne va via;
- valore prossimo allo zero: lontano dallo scarico, in quanto riscontriamo che in quei punti la velocità dell'acqua sarebbe quasi costante.

Se supponiamo l'acqua incomprimibile in una data regione dello spazio, nella quale non sono presenti nè pozzi di scarico nè sorgenti d'acqua, allora possiamo dire che la divergenza del campo delle velocità sarà ovunque nulla.
Un campo vettoriale che abbia come caratteristica particolare quella di avere divergenza nulla ovunque, viene detto soleinodale.
Lo stesso campo magnetico, descritto anch'esso dalle equazioni di Maxwell, si può considerare un campo soleinodale: in tale campo non si riscontrano sorgenti.
Tirando le fila del discorso, abbiamo illustrato il primo passo importante verso la completa comprensione dell'intero sistema delle equazioni di Maxwell, la sintesi perfetta di una grande e importante branca della fisica nota come elettromagnetismo.

BREVE ANALISI SULLA DIDATTICA DELLA SCIENZA NELLA SCUOLA

La didattica della scienza (matematica, fisica, astronomia, chimica, ecc.) nella scuola = sicuramente qualcosa da sviluppare, implementare, migliorare.
Non a caso, molte volte, le materie scientifiche risultano, agli occhi degli studenti, le più complicate e difficili.
Ci sono persino alcuni che affermano in maniera netta e convinta: "io sono negato per la matematica e per la fisica"!
Dunque, sorge una domanda: è vero che tali materie sono effettivamente complicate di per sé e quindi possono essere capite soltanto da invidui appassionati, con una predisposizione per esse, oppure, in realtà, è il fatto di spiegarle, illustrarle il più delle volte in maniera non efficace, a renderle qualcosa di inaccessibile a molti studenti?
Su tale tematica, vorrei far riferimento al film "L'amore ha due facce" con Barbra Streisand e Jeff Bridges: in tale pellicola cinematrografica troviamo:

- una docente di letteratura alla Columbia University di New York, che compie delle lezioni assolutamente magistrali, che vanno a trascinare gli ascoltatori, tanto da essere applaudita calorosamente;
- un professore di matematica, sempre alla Columbia University, che poi si innamora della collega; questo insegnante, al contrario della sua amata, fornisce delle spiegazioni ai suoi studenti che risultano noiose, soporifere e incomprensibili, per chi non è letteralmente "innamorato" della sua materia. Vengono criticati anche i suoi libri redatti sulla cosidetta "ipotesi dei primi gemelli", che considera le coppie di numeri primi separati da 2 unità tra loro.

Andando al nocciolo della questione, in una splendida ed esilarante scena del film, il professore tiene una sorta di lezione alla docente di letteratura, la quale lo invita, nel momento in cui spiega, a non comportarsi come se fosse l'unico partecipe della lezione di matematica: lei lo incita a cercare di raccontare gli stessi argomenti in una maniera più coinvolgente.
Il personaggio interpretato da Barbra Streisand arriva addirittura ad invitare Jeff Bridges a raccontare una "storia", una "favola" nella spiegazione di un'equazione matematica (nella scena si parla precisamente del limite cui tende la velocità in una data equazione, quando l'intervello di tempo t tende a 0), ma lui si rivela assolutamente incapace di fornire un racconto accattivante.
In seguito, tuttavia, l'insegnante di matematica, sotto consiglio della docente di letteratura che diventerà sua sposa, introduce nella sua lezione l'evento della partita di baseball, che era stata giocata il giorno immediatamente precedente, spiegandolo in termini matematici e fisici.
Quegli stessi studenti che nelle lezioni, fino a quel momento, si erano dimostrati come assolutamente non interessati alla spiegazione, improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, cominciano ad ascoltare con attenzione il discorso del professore!
Tutto questo fa capire che la comprensione e l'interessamente a riguardo della scienza cambia in modo esorbitante, a seconda se la spiegazione fornita dal docente è accattivamente, moderna, divertente o, al contrario, noiosa e rindondante.
Detto ciò, direi di stabilire alcuni punti fondamentali per far sì che gli studenti si appassionino o almeno studino con un po' d'interesse le scienze, senza affermare frasi del tipo: "non mi serve a niente conoscere le formule di Prostaferesi", "cosa me ne farò mai del Teorema di Gauss?", "a cosa mi serve sapere cosa è la derivata di una funzione?" e molte, moltissime altre ancora:

1) rendere le lezioni più accattivanti, basandosi sul modello di Barbra Streisand e non su quello di Jeff Bridges!: anzi io penso che sia più semplice rendere più interessante una lezione di matematica, fisica, o di scienza in generale, piuttosto che una di letteratura, dato che la scienza permette di offrire più spunti nella realtà quotidiana rispetto a una poesia;
2) riprendendo il primo punto, bisognerebbe soffermarsi su come la scienza ci descrive la realtà e nel mostrare che tutto ciò che circonda è descrivibile con il linguaggio matematico. è necessario, dunque, fare più riferimenti alla realtà quotidiana, per far vedere che la matematica non è solo un linguaggio fatto di formule, numeri, lettere e che essa è fine a se stessa, ma anzi, essa è la stessa essenza delle cose. Se qualcuno dice "non mi piace la matematica", allora, a rigor di logica, non dovrebbe usare cellulari, computer, lettori mp3 e tecnologie simili, in quanto il loro funzionamento dipende proprio dalla matematica. Per far scaturire l'interesse, ad esempio, per la fisica, si potrebbe anche far riferimento al mondo dei fumetti, come è chiaramente visibile nel libro "La fisica dei supereroi di James Kakalios".
3) si dovrebbe introdurre nelle scuole un minimo di storia della scienza, poiché è utile per capire come si è giunti a formulare le teorie fisiche, i teoremi matematici e tutte le altre leggi della scienza, altrimenti si potrebbe affermare che "queste formule sono uscite dal nulla", senza conoscere lo sforzo (lo "streben" fichtiano) di numerosi scienziati, che c'è dietro. Perché ci ricordiamo subito il ruolo di Newton nella scoperta della gravità? perchè abbiamo in mente l'immagine della mela che cade in testa allo scienziato;
4) bisognerebbe visionare molti documentari, di quelli ben realizzati, in quanto molto spesso l'immagine colpisce più della parola. Un esempio lampante di tale considerazione: uno studente ricorderebbe nel tempo più, cos'è un vulcano e quali sono le sue caratteristiche, leggendo la sua descrizione, oppure visionando un documentario, dove si possono osservare veramente le fasi dell'esplosione di questa "montagna di fuoco"?
5) i programmi scolastici dovrebbero probabilmente essere più orientati verso argomenti che possano veramente interessare i ragazzi: perchè in fisica, generalmente, non si riesce mai ad affrontare la relatività di Einstein o la meccanica quantistica, pur essendo, molto interessanti e stimolanti?. Si potrebbe rispondere: "queste 2 branche della fisica sono troppo complicate (sono necessari strumenti matematici molto elevati) per essere comprese dai giovani studenti", ma io penso che tutti gli argomenti, persino quelli più difficili, possono essere illustrati con semplicità e con incisività. Il ruolo dell'insegnante dovrebbe essere quello di spiegare in maniera comprensibile anche quei concetti che possono sembrare inaccessibili ai non addetti ai lavori. Einstein, diceva giustamente: "Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna".

Questi, a mio parere, sono alcuni tra i punti fondamentali che bisognebbe tenere presenti, per un insegnamento sempre migliore ed efficace di quella meravigliosa disciplina che è la scienza!
Infine, concludo con alcuni video inerenti il film precedentemente citato e le colonne sonore della medesima pellicola.
N.B: consiglio di guardare con attenzione la scena della magistrale lezione tenuta da Barbra Streisand (che tra l'altro nomina anche il termine "equazione", cosa che in lezioni di letteratura è molto difficile riscontrare; bisognebbe comprendere che la scienza è legata indissolubilmente anche all'arte e soprattutto alla musica, altra disciplina fortemente trascurata dalla scuola italiana) ai suoi allievi.