domenica 24 marzo 2013

LA FUGA E LA FISICA

Siete stanchi di vivere su questo pianeta, oppressi da tutte le fatiche e i brutti eventi della vita quotidiana? Volete fuggire da questo luogo "infausto", andando magari alla ricerca di un paradiso "alieno"?  (ovviamente sto scherzando!)



Allora quello che dovete fare è superare la velocità di fuga (o, se volete, seconda velocità cosmica).
Ebbene sì, se volete fuggire dalla Terra non potete far altro che basarvi sulla Fisica!
No Physics, no escape! ;)
Ma che diavolo è la velocità di fuga?

Semplice, il suo significato è racchiuso nel termine stesso: è la velocità minima iniziale che un corpo deve raggiungere per abbandonare (senza ricaderci) il pianeta (o, in generale, il corpo celeste) su cui è situato.
Spingendoci nei dettagli tecnici, consideriamo pertanto un corpo di massa m, posto a distanza r dal centro di gravità di un pianeta di massa M.
Esso, per fuggire via, presenta una certa velocità iniziale vf che gli conferisce una certa energia meccanica iniziale.
Che cos'è l'energia meccanica?
Facile: la somma dell'energia cinetica e di quella potenziale.
L'energia cinetica ha la solita formula (l'unica particolarità è che risulta presente la velocità di fuga):




mentre l'energia potenziale, dato che è di tipo gravitazionale, si presenta nel seguente modo:




dove G è la costante di Cavendish che si ritrova nella celeberrima legge di gravitazione universale di Newton.
Nello specifico:





Detto ciò, eravamo rimasti al fatto che l'energia meccanica del corpo fosse la somma delle 2 tipologie di energia descritte ed è, inoltre, dipendente dalla distanza r:




Ora pensate a questo scenario: cosa succederebbe se il corpo in fuga si allontanasse dal pianeta ponendosi ad una distanza infinita da esso?
Ebbene, a distanza infinita la velocità del corpo diventerebbe pari a 0 e ciò andrebbe ad annullare ovviamente l'energia cinetica.
Allo stesso tempo, anche l'energia potenziale diventerebbe nulla, dato che si prefigurerebbe il seguente rapporto:




Infatti, l'analisi matematica ci dice che il rapporto tra una quantità finita e l'infinito ci restituisce 0.
Ergo, abbiamo che:



Ma attenzione: l'energia si conserva!
Ciò significa che:



cioè l'energia meccanica risulta nulla non soltanto con una distanza infinita, ma a qualunque distanza r tra l'oggetto considerato e il pianeta.
Questo fatto implica che:




Ovvero:





Da tale equazione è facile ricavare l'espressione che definisce in maniera rigorosa la velocità di fuga:





Dove r, per convenzione, sta ad indicare il raggio del pianeta considerato.
La formula riportata si potrebbe scrivere anche in questo modo:





ove la lettera greca μ (mu) designa la cosiddetta costante gravitazionale planetaria e, in simboli:



Forse siete stufi di tutte queste formule e simboli scritti in maniera tradizionale.
Trascuriamo per un attimo la serietà e visualizziamo l'equazione precedente in questo modo:











Molto meglio, vero?
Vorrei ora riportarvi un passo tratto dal libro Per amore della Fisica (uscito da pochissimi giorni nelle librerie; ve lo consiglio caldamente) del professore di Fisica più famoso al mondo, Walter Lewin:

"Per sfuggire dalla superficie di un pianeta o di una stella avete bisogno di una velocità minima che vi assicuri di non ricadere sul corpo celeste che state cercando di abbandonare, e che chiamiamo velocità di fuga. La velocità di fuga dalla Terra è di circa 11 chilometri al secondo. Quindi tutti i satelliti legati gravitazionalmente alla Terra non devono mai avere una velocità superiore agli 11 chilometri al secondo. Siccome la quantità di energia necessaria per sfuggire al corpo celeste dipende sia dalla velocità di fuga sia dalla massa m dell'oggetto che vuole fuggire, il suo valore è tanto più alto quanto maggiore è la velocità di fuga. Probabilmente riuscite a immaginare che, se il pozzo gravitazionale diventa molto, molto profondo, la velocità di fuga necessaria per sfuggire dal suo fondo possa diventare più alta della velocità della luce. Ma poiché ciò non è possibile, significa che nulla può scappare da un pozzo gravitazionale molto profondo, nemmeno la radiazione elettromagnetica. Un fisico chiamato Karl Schwarzschild risolse le equazioni di Einstein della relatività generale e calcolò quale dovesse essere il raggio di una sfera di massa nota per creare un pozzo gravitazionale così profondo che nulla potesse sfuggirne: un buco nero, insomma. Quel raggio è noto come raggio di Schwarzschild, e le sue dimensioni dipendono dalla massa dell'oggetto. È il raggio dell'orizzonte degli eventi di un buco nero. L'equazione che definisce il raggio di Schwarzschild è incredibilmente semplice, ma è valida solo per buchi neri non rotanti, spesso definiti appunto buchi neri di Schwarzschild (l'orizzonte degli eventi di un buco nero rotante è oblato - più largo all'equatore - non sferico). Nella definizione entrano delle costanti ben note, e il raggio risulta essere appena poco meno di 3 chilometri per massa solare."

Vi ricordo che il raggio di Schwarzschild è così definito:




dove c indica ovviamente la velocità della luce.
Il video che segue è una lezione tenuta nel 2011 dallo stesso Lewin, avente la medesima denominazione del titolo del suo libro:



Tutte le sue eccezionali lezioni registrate le trovate nel canale youtube del MIT.
Riprendendo ciò che il professor Lewin scrive nella sua opera, notiamo che il concetto di fuga è così fondamentale in Fisica da essere alla base dell'affascinante fenomeno dei buchi neri.
Se però vogliamo dirigere la narrazione su sentieri maggiormente sicuri, possiamo illustrare brevemente i nostri primissimi tentativi di fuga dal pianeta (l'inizio della storia non sarà molto allegro).
Facciamo un salto nel 1957.
I russi stavano decidendo cosa mandare nello spazio a bordo della navicella nota come Sputnik 2 e la scelta ricadde su poveri animali e, in particolare, sui cani.
Eseguirono numerosi test, alcuni decisamente poco gradevoli.
Nei laboratori di Kaliningrado, una cittadina situata a meno di 100 km da Mosca, le 3 piccole cagne selezionate, battezzate rispettivamente Laika, Mushka e Albina, furono in primis sottoposte alla prova della centrifuga, per analizzare come i loro organismi avrebbero sopportato l'accelerazione derivante dalla spinta ascensionale di un missile.
In quell'occasione, la piccola bestiola che più di tutte patì quel crudele test fu Laika, il cui cuore aveva bisogno di un tempo 3 volte superiore rispetto a quelli delle sue 2 compagne per riprendere il ritmo normale di pulsazioni.
Ma questo era niente!
Le sventurate cagnette vennero situate in cubicoli di dimensioni via via sempre più piccole, furono legate sempre più strette e tenute spesso al buio, per abituarle a sopportare possibili ansie claustrofobiche.
Vennero inoltre assordate con rombi, scoppi, rumori violentissimi atti a simulare quello emesso da un missile in partenza.
Aghi, sonde, cavi, sensori ne forarono la pelle; il cibo per nutrirle diventò una sorta di gelatina acquosa simile a quella che avrebbero ingerito in orbita.
Mushka venne messa in una scatola metallica munita di oblò che si surriscaldava sino all'attivazione di un ventilatore automatico.
Albina venne invece lanciata un paio di volte con dei piccoli razzi fino a 10.000 metri di altezza per verificarne le conseguenze fisiche.
Entrambe le cagnette rispondevano abbastanza bene a questi spietati test, mentre Laika ne soffriva moltissimo.
Eppure, quest'ultima ebbe la sfortuna di essere scelta per il viaggio spaziale.
Infatti, era stata l'unica ad adattarsi a quella sorta di "cibo".
Dunque, nella settimana precedente al lancio, previsto per il 3 novembre 1957, questo incrocio tra un terrier e un samoyedo di 2 anni d'età, venne ulteriormente sottoposto a test (torture) di ogni genere.
Oltre a questo, Laika era praticamente destinata a morte certa, visto che non era stato progettato uno scudo termico protettivo per lo Sputnik 2: l'attrito dovuto al rientro della navicella nell'atmosfera terrestre avrebbe comportato il totale incenerimento del veicolo.
Alle ore 07:30 locali del 3 novembre il razzo R-7 mise in orbita lo Sputnik 2 con a bordo la terrorizzata Laika.
Quando sopraggiunsero le 9 di mattina, il ritmo cardiaco e il frenetico respiro della bestiola allarmarono i responsabili del volo.
Essi supposero che l'assenza di gravità (condizione mai provata dall'animale nei test, data l'impossibilità di riprodurla) stesse destabilizzando l'equilibrio mentale dell'animale.
Nel corso della quarta orbita di volo, la morte sopraggiunse, eliminando le innumerevoli sofferenze dell'animale.















Il 14 aprile 1958 lo Sputnik 2 rientrò nell'atmosfera, riducendosi, come previsto, in cenere.
Sperando vivamente che una crudeltà del genere sugli animali non venga più perpetuata, proseguiamo la narrazione.
Per fortuna, pochi anni dopo, nel 1961, arrivò l'epoca degli uomini nello spazio.
Nello specifico, il programma che doveva portare il primo uomo nello spazio era stato denominato Vostok e l'uomo prescelto fu Yuri Gagarin.
Yuri Gagarin nacque il 9 marzo 1934 a Klushino, un villaggio di agricoltori.
Suo padre era un carpentiere mentre la madre era un'operaia.
La Seconda guerra mondiale gli impedì di concludere gli studi elementari, ma terminato il grande conflitto, si trasferì a Gzhatska, ove riprese gli studi.
Nel 1951 frequentò l'istituto industriale di Saratov, dove coltivò la sua immensa passione per il volo, approfondendo peraltro lo studio delle teorie di Konstantin Tsiolkovsky inerenti all'impiego di motori a razzo per viaggi interplanetari.
Yuri si era distinto sia come eccezionale studente che come straordinario aviatore.
La sua carriera fu in continua ascesa: nel 1959 aderì al Partito comunista, incominciando a sottoporsi ai primi test di selezione per aspiranti cosmonauti.
Superò con successo i vari test, impressionando i medici per l'incredibile tranquillità d'animo dimostrata durante gli esercizi ad alto stress psicofisico, requisito fondamentale per una persona che volesse intraprendere il viaggio nello spazio a bordo della Vostok 1.



Ebbene, alle 9:05 locali del 12 aprile 1961 Yuri si accomodò dentro la Vostok 1.
Alle 11:07 l'R-7 con a bordo Gagarin decollò da Baikonur emettendo un assordante boato.
In quell'attimo Gagarin pronunciò l'espressione "Si va!", dettaglio che sottolinea il suo animo umile e la sua voglia smodata di far avverare un sogno che teneva nel cassetto sin da ragazzino.
Dopo 11 minuti dal lancio, la capsula, spinta a una velocità di quasi 28.000 km/h, entrò in un'orbita ellittica compresa fra i 175 e 302 km di distanza dalla Terra.
Un momento epocale: un uomo, per la prima volta, aveva abbandonato, seppur di poco in termini astronomici, la Terra.














Famosa è la frase che Gagarin esclamò durante la sua escursione nello spazio: "Vedo la Terra azzurra, è bellissima".
Andiamo ora ad analizzare la fisica alla base dei veicoli spaziali.
Nella maggior parte dei veicoli la propulsione viene assicurata dal fatto che il veicolo esercita una forza su un qualcosa di esterno che, a sua volta, va ad esercitare una forza uguale e contraria sul veicolo.
Ma nei veicoli a reazione il meccanismo è sostanzialmente diverso.
In essi la propulsione si ottiene infatti come conseguenza del principio di conservazione della quantità di moto.
Ricordo che la quantità di moto di un corpo è il prodotto tra la massa e la velocità di quel corpo:



Ai fini di una trattazione chiara, trascuriamo inizialmente l'attrazione gravitazionale che la Terra o un qualche altro corpo possa esercitare sul veicolo, così come ogni tipologia di forza d'attrito.
In queste particolari condizioni, il nostro veicolo non risulta sottoposto a forze esterne e dunque la quantità di moto si conserva.
Il motore del veicolo espelle una corrente di gas derivante dalla combustione ad una velocità costante, detta velocità di scarico, rispetto al razzo.
Considerato che il gas viene espulso ininterrotamente, la massa del veicolo diminuisce costantemente nel tempo di una quantità:




dove il segno "meno" sta ad indicare proprio una diminuzione della massa.
Le 2 grandezze in questione sono inoltre determinate dalle caratteristiche progettuali del veicolo.
Sappiamo che la quantità di moto del veicolo all'istante t è:



Se ora prendiamo in considerazione una quantità infinitesima dt di tempo aggiuntiva, abbiamo nello specifico che all'istante t + dt la massa del veicolo è esprimibile come m - dm, mentre la sua velocità come



ove dm e dv indicano rispettivamente una massa infinitesima e una velocità infinitesima.
Ne deriva che la quantità di moto del veicolo è pari a:



ossia:



L'ultimo termine di tale equazione può essere trascurato in quanto è il prodotto tra 2 quantità infinitesime, cioè, detto in termini rigorosi, è un infinitesimo di ordine superiore.
Dunque:



Abbiamo determinato la quantità di moto del veicolo.
Ora cerchiamo di stabilire quale sia quella del gas espulso.
Constatiamo che la velocità vsc del gas rispetto al veicolo (il quale rappresenta un sistema di riferimento mobile) è eguale a quella (indicata con Vsc) del gas rispetto al sistema fisso meno quella v del veicolo, rispetto sempre al sistema fisso.
In simboli:


      
Ne consegue che la quantità di moto del gas sarà:



Adesso, uguagliamo la quantità di moto totale del sistema veicolo+gas espulso prima e dopo l'espulsione (quella prima dell'espulsione è semplicemente mv):



da cui si ricava facilmente che:




Spostando la massa m nell'altro membro dell'equazione e dividendo entrambi i membri per il tempo infinitesimo dt, otteniamo:





La formula appena scritta pone in relazione la variazione della massa del veicolo con quella della velocità del veicolo in un intervallo infinitesimo di tempo.
Ricordo ora che:




ovvero la derivata della velocità rispetto al tempo è equivalente all'accelerazione.
Abbiamo quindi:




Cosa dice il secondo principio della dinamica?
La forza F è il prodotto della massa m per l'accelerazione a.
Ecco allora che l'espressione di sopra ci mostra che il veicolo risulta soggetto ad un'accelerazione dovuta alla forza di propulsione:




Tale equazione sottolinea il fatto che la forza propulsiva è proporzionale simultaneamente alla velocità di scarico e alla variazione di massa per unità di tempo.
Quest'ultima grandezza dipende dalla rapidità di combustione del carburante presente nel motore del veicolo.
Ricordate che all'inizio di questa riflessione avevamo posto che non dovessero sussistere forze esterne?
Ora immaginiamo che siano effettivamente presenti delle forze esterne, come la forza peso o l'attrito dell'atmosfera in cui il veicolo si muove; dovremo tenere conto di esse nell'equazione del moto.
Indicando con



la risultante di tutte le forze esterne, possiamo scrivere la nostra equazione come:




Risulta ovvio il fatto che se il veicolo viene lanciato da Terra, allora la forza propulsiva deve essere maggiore della forza peso.
Solitamente, i razzi di tale tipologia sviluppano in partenza valori pari a 3-4 volte l'accelerazione di gravità terrestre.
Per ottenere inoltre la relazione sussistente fra la velocità impartita al veicolo e la massa di gas scaricata per un intervallo finito, non bisogna far altro che sfruttare il calcolo integrale.
Bisogna precisamente integrare l'equazione del moto descritta tra il valore delle grandezze all'inizio e alla fine del processo di espulsione.
Per semplicità, supponiamo un moto di tipo unidimensionale e l'assenza di forze esterne.
Indichiamo con mi e vi rispettivamente massa e velocità iniziale del veicolo, e con mf e vf rispettivamente massa e velocità finale.
Ricordiamo che vale la relazione:




la quale può esser riscritta come:




Stiamo quindi utilizzando il noto metodo di separazione delle variabili.
Procediamo con l'integrazione:




  
Ricordo che:





Applicando tale regola al nostro caso otteniamo:




In forma più compatta:




Questa è l'equazione che il già citato Konstantin Tsiolkovsky, pioniere dei viaggi spaziali, ricavò nel 1903.
Essa ci fa capire che, per una buona propulsione, è necessario massimizzare:

- la velocità di scarico;
- il rapporto fra la massa del veicolo a pieno carico con la massa del veicolo vuoto.

La suddetta formula dimostra ancor più quanto la Fisica sia importante per la fuga.
E a proposito di fuga, terminiamo la trattazione con la singolare fuga d'aria planetaria.
A tal fine, riporto uno stralcio dello splendido articolo "La fuga d'aria planetaria" di David C. Catling e Kevin J. Zahnle su Le scienze n.491:

"Una delle peculiarità del sistema solare è la varietà delle atmosfere dei pianeti. Terra e Venere hanno dimensioni e massa comparabili, tuttavia la superficie di Venere ha una temperatura di 460 gradi Celsius, ed è avvolta da una coltre di anidride carbonica che la opprime con una pressione equivalente al peso di un chilometro d'acqua...A che cosa sono dovute queste enormi differenze?...Un pianeta può sviluppare un manto gassoso in molti modi: può liberare vapori dal proprio interno, catturare materiali volatili da comete e asteroidi che lo colpiscono e, grazie alla gravità, attirare gas dallo spazio interplanetario. Ma gli scienziati hanno cominciato a capire che anche le fughe di gas sono importanti. Sebbene l'atmosfera terrestre sembri stabile come le rocce, in realtà si disperde gradualmente nello spazio. Oggi per la Terra il tasso di perdita è minimo, circa 3 chilogrammi di idrogeno e 50 grammi di elio al secondo, ma a scale geologiche questo rivolo può essere significativo, e probabilmente in passato la velocità è stata molto più elevata...Riconoscere l'importanza delle perdite di atmosfera modifica la nostra visione del sistema solare. Per molto tempo gli scienziati si sono interrogati sul perché Marte ha un'atmosfera rarefatta, ora invece ci chiediamo perché ha ancora un'atmosfera...Per allontanarsi da un pianeta, atomi e molecole devono raggiungere la velocità di fuga...Nella fuga termica i gas diventano troppo caldi per poter essere trattenuti. Nei processi non termici, reazioni chimiche o con particelle cariche scagliano via atomi e molecole. Una terza possibilità è che l'aria sia espulsa da impatti con asteroidi e comete. Per certi aspetti, la fuga termica è la più comune e semplice delle 3. Tutti i corpi del sistema solare sono riscaldati dal Sole e smaltiscono questo calore in 2 modi: emettendo radiazione infrarossa ed eliminando materia. In corpi con vita lunga come la Terra prevale il primo processo, in altri, quali le comete, domina il secondo. Se irraggiamento e radiazione non sono bilanciati, anche un corpo con le dimensioni della Terra si riscalda rapidamente: in questo caso l'atmosfera, in genere con massa molto piccola rispetto al pianeta, scivola via in un istante cosmico. Il sistema solare è pieno di corpi privi d'aria e sembra che sia colpa della fuga termica...La fuga termica avviene in 2 modi. Nel primo, detto "fuga di Jeans" in onore di James Jeans, l'astronomo inglese che la descrisse all'inizio del XX secolo, l'aria evapora letteralmente atomo per atomo, molecola per molecola, dalla sommità dell'atmosfera. A quote più basse le collisioni confinano le particelle, ma sopra una certa altitudine, cioè alla base dell'esosfera, che per la Terra si trova a circa 500 chilometri dalla superficie, l'aria è tanto rarefatta che le particelle gassose non collidono quasi mai. In assenza di urti non c'è motivo perché un atomo o una molecola con velocità sufficiente non voli via nello spazio. L'idrogeno è il gas più leggero, e dunque è quello che vince più facilmente la forza di gravità di un pianeta. Ma prima deve raggiungere la base dell'esosfera, e sulla Terra questo processo è lento. Le molecole contenenti idrogeno tendono a non oltrepassare lo strato inferiore dell'atmosfera: il vapor acqueo condensa e ridiscende sotto forma di pioggia, il metano si ossida e forma anidride carbonica. Parte delle molecole di acqua e metano sfuggono a questi processi e si decompongono rilasciando idrogeno, che lentamente si diffonde verso l'alto fino alla base dell'esosfera. Sappiamo che una piccola quantità di idrogeno ce la fa perché le immagini nell'ultravioletto rivelano un alone di atomi di idrogeno che circonda il pianeta. La temperatura della base dell'esosfera terrestre oscilla intorno a 1000 gradi kelvin, implicando che gli atomi di idrogeno hanno una velocità media di 5 chilomeri al secondo. Questa velocità è inferiore alla velocità di fuga a quell'altitudine, pari a 10,8 chilometri al secondo, ma la media nasconde una grande variabilità, e quindi alcuni atomi di idrogeno riescono a vincere la gravità. Questa perdita di particelle spiega tra il 10 e il 40% dell'attuale perdita di idrogeno della Terra. In parte la fuga di Jeans spiega anche perché la Luna sia priva di atmosfera. I gas che fuoriescono dalla superficie lunare evaporano facilmente nello spazio. Un secondo tipo di fuga termica è molto più accentuato. La fuga di Jeans si verifica quando un gas evapora molecola per molecola, ma i gas riscaldati possono anche fluire in massa. Lo strato superiore dell'atmosfera può assorbire luce solare ultravioletta, riscaldarsi e dilatarsi, spingendo l'aria verso l'alto. Sollevandosi, l'aria accelera e supera la velocità del suono fino a raggiungere la velocità di fuga. In questo caso si parla di fuga idrodinamica o di vento planetario, per analogia con il vento solare, cioè il flusso di particelle cariche emesso dal Sole nello spazio interplanetario. Le atmosfere ricche di idrogeno sono le più vulnerabili alla fuga idrodinamica. Quando l'idrogeno si allontana, può trascinare con sé molecole e atomi più pesanti. Come il vento del deserto trasporta granelli di sabbia da una duna all'altra, lasciondosi alle spalle ciottoli e macigni, allo stesso modo il vento di idrogeno trasporta molecole e atomi in una proporzione che diminuisce all'aumentare del loro peso...Gli astronomi hanno osservato segni della fuga idrodinamica fuori del sistema solare, su HD 209458b, un pianeta simile a Giove. 

Rappresentazione artistica di HD 209458b
















Nel 2003, usando il telescopio spaziale Hubble, Alfred Vidal-Madjar dell'Institut d'Astrophysique di Parigi ha riferito che questo pianeta ha un'atmosfera espansa a base di idrogeno, e misurazioni successive hanno scoperto anche carbonio e ossigeno. Questi atomi sono troppo pesanti per sfuggire da soli, quindi devono essere stati trascinati via dall'idrogeno...I pianeti di tipo terrestre potrebbero aver avuto in origine atmosfere ricche di idrogeno proveniente da reazioni tra acqua e ferro, dai gas nebulari o da molecole di acqua scisse dalla radiazione solare ultravioletta. In quel periodo le collisioni con asteroidi o comete erano frequenti e, ogni volta che coinvolgevano un oceano riempivano l'atmosfera di vapore. Nel corso di migliaia di anni il vapore condensava e tornava sulla superficie sotto forma di pioggia. Ma Venere è abbastanza vicina al Sole, al punto che il vapore acqueo potrebbe essere rimasto in atmosfera dove veniva scisso dalla radiazione solare. In queste condizioni la fuga idrodinamica si verifica facilmente. Negli anni ottanta James F. Kasting ha mostrato che su Venere la fuga idrodinamica avrebbe portato via una quantità di idrogeno pari a un oceano in poche decine di milioni di anni. In seguito Kasting e uno di noi (Zahnle) hanno mostrato che l'idrogeno avrebbe trascinato via con sé molto ossigeno, lasciandosi dietro però l'anidride carbonica. In assenza di acqua, che media le reazioni chimiche con cui l'anidride carbonica è trasformata in minerali come il calcare, l'anidride carbonica si è accumulata in atmosfera per poi creare l'infernale Venere che vediamo oggi...Anche se pare che la Terra sia stata risparmiata dalla fuga di atmosfera, le cose cambieranno. Oggi la perdita di idrogeno è limitata a un ruscello perché il principale gas contenente l'idrogeno, il vapor acqueo, condensa in atmosfera e ricade sulla superficie sotto forma di pioggia. Ma ogni miliardo di anni il Sole aumenta del 10% la sua luminosità. È una velocità lenta a scala umana, ma a quella geologica sarà devastante. Via via che il Sole sarà più luminoso, la nostra atmosfera si riscalderà, lo strato superiore dell'atmosfera diventerà più umido e il ruscello di idrogeno diventerà un fiume. Questo processo diventerà rilevante tra un miliardo di anni, e ci vorrà circa un altro miliardo di anni per prosciugare gli oceani. La Terra diventerà un pianeta deserto con poche tracce del prezioso liquido e calotte polari fortemente ridimensionate. Dopo altri 2 miliardi di anni la luce solare colpirà impietosamente il nostro pianeta, tutta l'acqua residua evaporerà, l'effetto serra sarà tanto forte da fondere le rocce. E la Terra avrà uguagliato la sterilità senza vita di Venere."

Dopo queste note tragiche, concludiamo con qualcosa di magnificamente bello: la musica di Bach.
Vi riporto 2 famosi brani a tema, in stile jazz, del grande compositore tedesco: la Toccata e Fuga in Re minore BWV 565 e il Preludio e Fuga in Do minore BWV 847:   





2 commenti:

  1. Non vorrei ripetermi, ma non se ne può fare a meno: gran bell'articolo.

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    1. Cercherò di risponderti in modo originale: grazie (sen^2 x + cos^2 x)10^3.


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