giovedì 18 aprile 2013

LA CATALISI E LA SUA STORIA

Velocità!



Asserire che la velocità è un concetto importantissimo in Fisica sarebbe veramente riduttivo.
Anche in campo musicale la velocità rappresenta qualcosa di decisamente rilevante, dato che la velocità di esecuzione può fornire cambiamenti significativi ad un brano.
Ad esempio, ascoltate quanta differenza sussiste tra queste 2 splendide interpretazioni della famosa canzone Fly me to the moon:





La prima versione, cantata da Brenda Lee, è una vera e propria ballad, mentre la seconda (più famosa), interpretata da Frank Sinatra, è decisamente più ritmata e swing!
E cosa possiamo dire invece della velocità per quanto concerne la Chimica?
Pure in tal ambito la velocità designa un concetto fondamentale, tanto che esiste persino un ramo specifico chiamato cinetica chimica!
Essa si occupa di studiare la velocità con cui avviene una reazione chimica e i vari fattori in grado di influenzarla.
D'altronde, le reazioni chimiche non procedono tutte con la medesima velocità.
Un'esplosione, ad esempio, è una reazione rapidissima in quanto si verifica in una frazione di secondo.
E a proposito di esplosioni, riporto questo simpaticissimo video relativo alle disavventure di Willy il Coyote:



Ma vanno annoverate ovviamente anche le reazioni più lente, come la maturazione di ortaggi e frutti, la quale richiede qualche giorno, oppure la formazione della ruggine, che può richiedere addirittura qualche mese.














Ma cos'è esattamente la velocità di una reazione chimica?
Se in meccanica classica la velocità media di un corpo in moto è definita come:




cioè il rapporto tra la variazione della posizione (lo spostamento) e l'intervallo di tempo in cui essa è avvenuta, in Chimica la velocità media di una reazione viene definita come:




In poche parole, trattasi del rapporto tra la variazione di concentrazione di una sostanza e l'intervallo di tempo in cui tale variazione si verifica.
Specificando meglio, la velocità di reazione esprime la diminuzione nel tempo della concentrazione di un reagente, oppure l'aumento nel tempo della concentrazione di un prodotto (di reazione).
Ma cos'è nello specifico la concentrazione?
Semplice: data una miscela chimica, la concentrazione di un componente nella miscela non è altro che il rapporto tra la quantità del componente prescelto e la quantità totale di tutti i componenti della miscela (compreso quello considerato).
Per fare un esempio banale, in un bicchiere d'acqua e zucchero la concentrazione dello zucchero (rappresentante ciò che viene chiamato soluto) è il rapporto tra la quantità di zucchero presente e la quantità totale della soluzione, formata da zucchero + acqua (il solvente).
A proposito di concentrazioni, vi consiglio di visionare il seguente video:



Come abbiamo detto all'inizio, la cinetica chimica si occupa di studiare non solo la velocità delle reazioni, ma pure i fattori che influiscono su di essa.
Quali sono questi fattori?
Ve ne sono 5 fondamentali:

1) natura delle sostanze reagenti;
2) temperatura;
3) concentrazione dei reagenti;
4) superficie di contatto;
5) presenza di catalizzatori.

E proprio su questi ultimi focalizzeremo la nostra attenzione in questo post.

Cosa sono i catalizzatori?
Scopriamolo mediante un semplice esempio.
Sicuramente tutti conoscete l'acqua ossigenata (chiamata anche perossido di idrogeno).
Essa ha una formula bruta simile a quella dell'acqua (ovvero H2O2) ed è generalmente usata per disinfettare le ferite o le escoriazioni.
Quello che forse non sapete è che il perossido di idrogeno si decompone spontaneamente in acqua liberando ossigeno, ma tale reazione è lenta "come una lumaca": lasciando infatti aperta una bottiglietta di acqua ossigenata non succede praticamente niente di rilevante.
Tuttavia, se aggiungete ad essa qualche cristallo di diossido di manganese (MnO2), o inserite nella bottiglietta una paglietta di ferro come quelle utilizzate in cucina per pulire le pentole, oppure versate la vostra acqua ossigenata su una ferita, allora dovreste notare una celere formazione di bollicine d'ossigeno.



Per quale motivo accade tale "magia"?
La ragione risiede nel fatto che il diossido di manganese, oppure la superficie porosa della paglietta, o ancora una sostanza contenuta nei nostri tessuti, la catalasi, agevolano la reazione, comportandosi appunto da catalizzatori!
Nello specifico, il catalizzatore spugnoso riesce a intrappolare nelle sue cavità gli atomi liberi dei reagenti, facilitando così il contatto tra gli atomi stessi e incrementando dunque il numero di urti efficaci.
Ergo, un catalizzatore è una sostanza capace di accelerare (o decelerare) una reazione chimica.
Una cosa importante: il catalizzatore non partecipa chimicamente alla reazione, ma svolge soltanto un'azione meccanica.
Che significa?
Significa che esso non va a influenzare le concentrazioni finali di prodotti e reagenti della reazione che va ad accelerare.
Ne consegue che, durante le trasformazioni chimiche che interessano le sostanze reagenti, il catalizzatore non si consuma (però, con il passare del tempo, può perdere progressivamente la sua efficacia).
Un'altra interessante peculiarità: agevolando il contatto fra atomi diversi il catalizzatore favorisce gli urti efficaci anche quando è minore l'energia cinetica delle particelle.
In altri termini, esso consente la formazione delle nuove molecole anche con una minore energia di attivazione (energia minima che i reagenti devono raggiungere affinché si trasformino in nuovi prodotti).
Possiamo pertanto fornire una differente (ma equivalente alla precedente) definizione di catalizzatore: esso è una sostanza che abbassa l'energia di attivazione dei reagenti necessaria affinché avvenga la reazione.
I catalizzatori si distinguono in 2 categorie:

1) positivi, se aumentano la velocità di reazione;
2) negativi o inibitori, se diminuiscono la velocità di reazione.

Viene invece chiamato catalisi l'effetto che i catalizzatori determinano.
Esistono 2 tipologie di catalisi:

1) omogenea: il catalizzatore si presenta nello stesso stato fisico (fase) delle sostanze reagenti (per esempio, un gas in una reazione fra gas o uno ione in una reazione fra soluzioni);
2) eterogenea: il catalizzatore si trova in una fase differente da quella dei reagenti (ad esempio, il platino nella reazione tra idrogeno ed ossigeno).

A dir la verità esiste anche la cosiddetta autocatalisi.
Che cos'è?
L'autocatalisi è un particolare processo catalitico in cui il catalizzatore è nientemeno che un prodotto o un intermedio di reazione.
Per comprendere meglio, consideriamo la reazione che avviene tra il permanganato (MnO4) e l'acido ossalico (COOH)2.
In questo specifico caso, lo ione Mn2+, il quale catalizza la reazione, è pure un prodotto della reazione stessa.
Dunque, man mano che la reazione progredisce, la sua velocità diviene sempre più elevata.
Ricordo che anche nell'organismo umano avvengono processi catalitici, per mezzo di sostanze chiamate enzimi (la catalasi nominata prima è appunto un enzima).
Bene, ora siamo pronti per compiere un breve viaggio fra le principali tappe della storia della catalisi!
Poche sono le notizie inerenti alle reazioni catalitiche risalenti a prima del XIX secolo, il secolo in cui la cinetica chimica ebbe il suo grande sviluppo.
Comunque, i primi processi catalitici noti riguardavano reazioni in soluzione (dunque processi di catalisi omogenea).
Nel 1540 il medico e botanico tedesco Valerius Cordus (1515-1544) sfruttò dell'olio di vetriolo (antica denominazione dell'acido solforico, H2SO4) per trasformare l'alcol etilico nel corrispondente etere (di etere abbiamo parlato qui), seguendo, almeno così sembra, un'antica ricetta importata dal Medio Oriente da esploratori portoghesi.
In tal vicenda il catalizzatore è rappresentato dall'acido solforico.
Più in generale, a partire dalla fine del XVIII secolo svariati chimici incominciarono a rendersi conto che l'aggiunta di piccole quantità di un acido o una base poteva influenzare la velocità di una reazione.
Nel 1781 Antoine Augustin Parmentier si accorse che l'aggiunta di acido acetico (CH3COOH) accelerava la trasformazione innescata dal cremor tartaro (bitartrato di potassio, C4H5KO6) della fecola di patata in qualcosa di dolce.
Decenni dopo, nel 1811, il chimico russo Sigismund Konstantin Kirchhoff (1764-1833) capì che aggiungendo una manciata di gocce di acido solforico si otteneva immediatamente l'idrolisi dell'amido in glucosio.
Nel 1833 Anselme Payen (1795-1871) e Jean-François Persoz (1805-1868) attribuirono la trasformazione dell'amido osservata da Kirchhoff all'azione di una singolare sostanza biologica che denominarono diastasi e mostrarono che a 100 °C perdeva tutta la sua efficacia.
In seguito, nel 1877, il fisiologo tedesco Wilhelm Kühne (1837-1900) isolò la tripsina dal succo gastrico e coniò il termine enzima dal greco en che significa "dentro" e zýmon, ovvero "fermento", per descrivere il processo di fermentazione cellulare.
Intanto, dall'inizio del XIX secolo, l'attenzione dei chimici si era focalizzata anche sui metalli, che si rivelarono ottimi catalizzatori.
Tra essi spiccò il platino, il primo attore della catalisi eterogenea.
Nel 1813 Louis-Jacques Thénard (1777-1857) scoprì che facendo passare ammoniaca (NH3) su del metallo rovente essa si scomponeva in azoto ed idrogeno.
Costui scoprì in seguito, assieme a Pierre Dulong, che la capacità di decomporre l'ammoniaca era differente tra le varie tipologie di metallo (ad esempio, tale peculiarità era più rilevante nel rame che nell'oro).
Nel 1817 Humphry Davy (1778-1829) scoprì che il platino accelerava svariate reazioni organiche senza subire alcuna trasformazione, mentre, nel 1820, suo cugino, Edmund Davy (1785-1857), dopo aver preparato una spugna di platino in grado di assorbire notevoli quantità di gas, si rese conto che in presenza di platino finemente suddiviso i vapori di alcol mutavano in acido acetico.
Alcuni anni dopo, Justus von Liebig (1803-1873) decise di continuare sulla strada tracciata da Edmund Davy, realizzando una spugna di platino capace di assorbire fino a 250 volte il suo volume d'ossigeno.
Nel 1823 Johann Wolfgang Döbereiner (1780-1849) notò anch'egli le sorprendenti virtù catalitiche del platino finemente suddiviso, il quale, a contatto con l'idrogeno, diveniva incandescente e l'idrogeno stesso prendeva fuoco.
Pure William Henry (1774-1836) concentrò le sue ricerche sull'attività catalitica del platino, tanto da accorgersi di un effetto inverso, ossia il fatto che l'etilene bloccava l'azione del platino sulla miscela idrogeno-ossigeno.
Poco dopo Michael Faraday (di lui abbiamo parlato qui) mostrò che il platino era capace di ricombinare l'idrogeno e l'ossigeno ottenuti per elettrolisi dell'acqua.
Nonostante questa sfilza di grandi personalità scientifiche nominate, nessuno di essi era riuscito a dare una spiegazione soddisfacente al fenomeno della catalisi, nessuno fino all'arrivo di Jöns Jacob Berzelius (1779-1848).

Ritratto di Berzelius













Questi, in un rapporto all'Accademia delle Scienze svedesi datato 1835 (ma pubblicato l'anno dopo), a seguito di approfonditi studi sui risultati di svariate reazioni catalitiche, propose l'esistenza di una nuova "forza catalitica" agente nella materia e coniò per essa appunto il termine "catalisi", fondendo assieme le parole greche katá ("giù") e lúsis ("soluzione").
Berzelius arrivò vicino alla moderna definizione di catalizzatore: secondo lui si trattava di una sostanza in grado di far avvenire la reazione senza prendervi parte e dunque senza consumarsi.
Nel 1839 Liebig affermò invece che la differenza tra le proprietà chimiche degli elementi generanti un radicale potesse causare la rottura dell'attrazione tra essi e il resto della molecola, e che tale rottura potesse essere scatenata da 3 fattori:

1) temperatura;
2) presenza dell'acqua;
3) catalizzatore (che tuttavia non prendeva parte alla reazione).

Nel 1845 Julius Mayer (1814-1878) propose la suggestiva idea che il catalizzatore fosse capace di liberare elevate quantità di energia "dormiente" che consentivano alla reazione di scatenarsi.
Decenni dopo, Mayer asserì che la catalisi non fosse altro che un caso particolare del molto più generico concetto di innesco, una sorta di grilletto chimico che "dava lo start" alla reazione.
Come avrete notato, ancora nessuno aveva capito che il catalizzatore andava ad influire considerevolmente sulla velocità di una reazione chimica.
Il primo a giungere a tale conclusione fu Christian Friedrich Schönbein (1799-1868), colui che scoprì l'ozono.

Christian Schönbein















Schönbein pensava che il catalizzatore, pur non interagendo con i reagenti, accelerasse la reazione scatenando la formazione di prodotti intermedi che permettevano alle molecole reagenti di seguire cammini sempre più rapidi per la preparazione dei prodotti finali.
Nel frattempo, il tedesco Friedrich Stohmann (1832-1897) sostenne che la catalisi fosse un processo nel quale l'energia fornita dal catalizzatore si trasformasse in movimento degli atomi delle molecole reagenti, che si riorganizzavano andando a costituire un sistema maggiormente stabile con emissione di energia.
Tale supposizione, tuttavia, venne totalmente smontata da Friedrich Wilhelm Ostwald (1853-1932), il quale affermò che il catalizzatore non andava ad alterare il meccanismo di reazione, ma semplicemente ne accelerava la cinetica, abbassando la barriera energetica necessaria per innescare la reazione.

A detta di Ostwald, il catalizzatore non faceva altro che accelerare una data reazione, la quale, tuttavia, sarebbe avvenuta anche in mancanza di esso, solo molto più lentamente.
Possiamo allora asserire che Ostwald si avvicinò davvero moltissimo alla moderna definizione di catalizzatore.
Non a caso, perciò, egli venne insignito, nel 1909, del premio Nobel per la Chimica!
La lezione Nobel che Ostwald tenne all'Accademia Reale di Svezia rappresentò la definitiva consacrazione della catalisi come uno dei campi d'indagine più importanti della chimica fisica, il quale, in breve tempo, arrivò ad influenzare notevolmente lo sviluppo dell'industria chimica.
Ostwald sosteneva, inoltre, che nelle reazioni in fase gassosa l'effetto catalitico dei metalli fosse determinato da processi puramente fisici di adsorbimento (fenomeno che consiste nell'accumulo di una o più sostanze fluide sulla superficie di un liquido o un solido) per mezzo dei quali i gas si introducevano nelle cavità dei metalli porosi, ove lo stretto contatto fra di loro, associato a processi di riscaldamento locale, facilitava la reazione.
Tuttavia, Paul Sabatier (1854-1941), professore all'Università di Tolosa e il suo collaboratore, il canonico Jean-Baptiste Senderens (1856-1937), capirono, attraverso l'analisi dei risultati di un esperimento sull'etilene (C2H4), che la catalisi non era, come sostenuto da Ostwald, un processo puramente fisico, ma che i metalli finemente divisi risultavano capaci di adsorbire ingenti quantità di gas.
La suddetta capacità, a detta di Sabatier e Senderens, risultava molto specifica e poneva in evidenza un'attività selettiva di natura strettamente chimica, non fisica!
Paul Sabatier diede dunque, con questo esperimento e con le successive ricerche, un significativo contributo alla comprensione della catalisi eterogenea, implementando peraltro la tecnica dell'idrogenazione catalica che consiste nella trasformazione di etilene in etano (C2H6), per mezzo di nichel finemente suddiviso come catalizzatore.
Tra l'altro, le sue eccezionali scoperte, dettagliatamente illustrate nel magistrale trattato del 1913 La catalyse en chimie organique, gli valsero nel 1912 il Nobel per la Chimica, assieme a Victor Grignard.
Compiendo un piccolo salto temporale, tra gli anni '30 e gli anni '60 del XX secolo la ricerca si focalizzò nell'individuazione del ruolo della struttura elettronica dei metalli e dei semiconduttori (materiali che costituiscono una "via di mezzo" tra i conduttori e gli isolanti) nei processi catalitici.
Venne elaborata pertanto la teoria elettronica della catalisi, una valida combinazione tra fisica dello stato solido e teorie dell'adsorbimento.
La suddetta teoria deve molto alle ricerche pionieristiche dell'ucraino Lev Vladimiroviç Pisarzhevskij (1871-1938), il primo a notare, nel 1916, una correlazione fra l'attività catalitica dei solidi e le loro proprietà elettroniche.
Il contributo della scuola russa alla catalisi eterogenea fu sicuramente notevole, al punto che, nel 1958, venne fondato il Boreskov Institute of Catalysis grazie a Georgij K. Boreskov.
Costui, nel 1953, sviluppò la regola della costanza approssimativa della capacità catalitica per sostanze con stessa composizione chimica.
Sebbene non riuscisse a chiarire i meccanismi intimi della catalisi, la teoria elettronica spianò la strada all'applicazione dei concetti di stato di transizione e di effetto collettivo di superficie, i quali vennero poi incorporati nella teoria quantistica della catalisi.
Con lo sviluppo della Meccanica Quantistica e della fisica delle superfici si iniziò a capire che esistevano sulle superfici metalliche siti particolarmente attivi nella funzione catalitica.
Inoltre, nella seconda metà del XX secolo, attraverso l'implementazione di nuove tecniche sperimentali (rivoluzionarie per lo studio delle superfici) come:
  • LEED (Low Energy Electron Diffraction);
  • UPS (Ultraviolet Photoelectron Spectroscopy); 
  • STM (Scanning Tunneling Microscope), 
fu compiuto un netto passo avanti nella comprensione dei meccanismi elementari della catalisi.
Il saggio uso delle suddette tecniche ha caratterizzato gli importanti studi di Gerhard Ertl (1936-), premio Nobel per la Chimica nel 2007, e di Gabor Somorjai (1935-), i 2 ricercatori che più di tutti hanno maggiormente contribuito, nella seconda metà del XX secolo, allo sviluppo delle moderne teorie della catalisi.
Gerhard Ertl
Gabor Somorjai













Vi lascio con un magnifico video della TEDEducation concernente la velocità delle reazioni chimiche (potete anche scegliere di visionarlo con i sottotitoli in italiano, grazie alla traduzione effettuata da Paolo Gifh, l'autore del blog Il chimico impertinente):



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Fonte principale:

- Storia della Chimica (Volume II) di Salvatore Califano

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